Atomik è uno dei primi fumetti di Max Bunker (Luciano Secchi) nell’ambito dei supereroi italiani, un genere che, nonostante vari tentativi, non riuscì mai a consolidarsi nel panorama nazionale. Creato anni prima che l’Editoriale Corno iniziasse a importare gli eroi Marvel, Atomik nacque come parte di un tentativo di Secchi e del cognato Andrea Corno di esplorare il filone supereroistico in un paese culturalmente distante da quel tipo di narrativa. Alla fine della Seconda guerra mondiale, gli italiani conobbero i primi supereroi attraverso i comic book portati dai soldati americani, che introdussero personaggi come Superman e Phantom. Tuttavia, l’interesse per i supereroi in Italia fu sporadico.
La trama era costruita attorno a una premessa piuttosto prevedibile: uno scienziato nazista aveva progettato una "tuta atomica" in grado di conferire forza e invulnerabilità. Tale tuta, non sviluppata completamente prima della fine della guerra, finì nelle mani dell’agente dei servizi segreti americani Red Norton, che decise di usarla per diventare Atomik. Secchi cercò di dare al personaggio un tono epico, ma il risultato era molto deludente. La trama principale – la lotta di Atomik contro la malvagia organizzazione criminale capeggiata dal Dominatore – era colma di stereotipi e faceva ampio uso di cliché fantascientifici. Il Dominatore, nemico principale, era una figura priva di spessore.
Il classico villain assetato di potere e circondato da scienziati pazzi come il Professor Diabolicus. Tali personaggi non offrivano nulla di innovativo e sembravano ricalcare maldestramente i modelli dei supereroi americani. I testi di Secchi, che si firmava con lo pseudonimo Esselle, mostravano già un accenno di quel sarcasmo che avrebbe caratterizzato le opere successive come Kriminal, Satanik e Alan Ford, ma non riuscivano a compensare le trame deboli e confusionarie. Secchi non aveva una particolare inclinazione per la fantascienza, come dimostrerà anche con il successivo insuccesso di Gesebel, personaggio ricordato più per l’avvenenza che per le storie poco convincenti.
Dal punto di vista grafico, il primo artista di Atomik, Paolo Piffarerio (si firmava Paul Payne), portò un tratto raffinato che però non fu sufficiente a sollevare le sorti del personaggio. A lui seguirono altri artisti, tra cui Giuseppe Montanari (Montag) e Raffaele Cormio (Ralph Hunter), il quale tentò di rifarsi a maestri come Burne Hogarth e Frank Robbins ma senza successo. Le tavole, per quanto curate, non riuscivano a dare vita a un eroe capace di conquistare l’immaginazione dei vari lettori. Atomik ebbe anche l’opportunità di apparire nelle ristampe del 1964 all’interno della Collana dei Classici del Fumetto, ma nemmeno questa pubblicazione riuscì a risvegliare l’interesse del pubblico.
Il personaggio, ormai fuori tempo massimo, affrontò il suo ultimo nemico in una storia conclusiva, dove, con l’aiuto dell’esercito americano, sventava definitivamente la minaccia del Dominatore. Si chiudeva pertanto la parabola di Atomik nel 1965, uno degli ultimi supereroi italiani a scomparire, oscurato dal successo dei supercriminali come Diabolik e, poco dopo, Kriminal. Con il senno di poi, Atomik si rivela non solo un personaggio dimenticato ma anche un esempio delle difficoltà di Max Bunker nel tentare di creare un supereroe in grado di competere con i modelli Usa. Un flop come tanti, tanto più che oggi resiste solo Alan Ford (sebbene con gigantesche difficoltà).
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